domenica 14 luglio 2013

Pilgrimage - Monastero di Nguleppe sul Grotto 2.0

5° giorno di Decimese, Anno Santo 1613

“Con questa opera, dalla mole importante e dal contenuto non facile e spesso incredibile a credersi, narrerò delle cause remote e vicine che hanno condotto allo stato di cose attuali nel nostro stato come nelle altre nazioni sotto il sole. Il nostro mondo ha sofferto, ed è mio dovere, come cronachista, conservare il ricordo delle cause complesse di questa sofferenza. Senza il mio apporto, gli uomini dimenticheranno, come sempre hanno fatto, il perché delle loro disgrazie, e senza tale comprensione, cadranno più e più volte nei medesimi errori.
Per quanto misera possa sembrare, la causa degli eventi non ebbe il proprio focolaio nella corte dell’Arcivescovo di Antrimonia, come molti potrebbero pensare, o presso i sontuosi palazzi dei Principi Mercanti di Corolla, o nel corrotto Parlamento di Glideria, dove i magistrati seguono il volere dei signori del crimine che strisciano nelle ombre. Per quanto io pecchi di presunzione, ipotizzo che, lasciati a loro stessi, quei tre schieramenti non avrebbero avuto alcun motivo di cambiare la situazione. Per quanto intessuto di menzogne e di complotti, di segreti e di inimicizie, quello stato di cose era ordinato affinché continuasse per secoli, fintanto che le ruote della civiltà venivano unte con il denaro del commercio. La causa del conflitto, improvviso e terribile, che scoppiò nell’anno 1535, ha le proprie radici più profonde, eppure immensamente semplici, nella forma di tre uomini, tre uomini che al giorno d’oggi l’umanità tutta, sia essa Eosmeriana, Glideriana o Corolliana, ritiene la causa di tutti i mali.
E a ragione, dopotutto. Questi uomini, chiamati Spitfire nella lingua di Glideria, sono entrati nell’immaginario collettivo come mostri di inumana ferocia. Persino i subumani come i reclusivi nani nostri schiavi, o gli orcoidi da tempo sul filo dell’eresia, ed ora palesemente alleati col nemico, mostrano aperto disprezzo e scherno della figura dell’Oracolo dell’Olocausto, Erasmo del Sole Nero, e dei suoi due accoliti sanguinari, il cui amore per il caos ed il disordine li portarono ad efferate azioni contro i governi di tutta la terra.
Quel che pochi sanno, poiché la memoria del mondo è assai corta, è che i suoi due alleati principali, tali Thunderbolts, due eretici che trafficavano da tempo con le armi diaboliche caricate a polvere alchemica, erano poco più di semplici uomini. Forse, addirittura poco meno. Ma nondimeno furono loro a causare i mille e più danni che portarono alla guerra, e alla frammentazione brutale della nostra Santa Chiesa sotto i colpi degli eretici. Come potrete comprendere leggendo, forse il trafficare con l’alchimia, ed altre immonde pratiche, portò i tre alle loro azioni contro la natura, contro lo stato e contro l’unica fede.
La famosa eclisse che colpì la capitale omonima di Glideria nel 1535, ad esempio, fu chiaramente opera loro, e dei loro oscuri talenti. Anche atti contro le tribù orcoidi pagane del nordovest, sebbene portate contro nemici della vera fede, denunciano la loro crudeltà verso ogni cosa vivente, e del loro disprezzo della pace. È risaputo anche che poco dopo le loro scorribande nella Terra di Nessuno, le tribù degli orchi e delle loro progenie impure con gli uomini si spaccarono in seguito al famoso incidente conosciuto come la Voragine Rossa, di origini sconosciute ma palesemente collegato ai recenti attacchi demoniaci sulla terra. Che la proliferazione di creature diaboliche, mai viste prima, risalga a quegli anni, è un’altra delle cose chiarirò nella mia opera, assieme a molti altri eventi degni di nota o di carattere politicamente o militarmente importante. Le prime grandi Armi da Guerra Viventi furono scoperte in quel tempo, infatti, e nello stesso periodo si verificò anche il famoso Scisma di Gann Brand, che colpì duramente la nostra chiesa privandola del sacro ordine dei Paladini e costringendo l’Inquisizione ad assumere un ruolo più fitto e attivo nella protezione dell’ordine costituito, ruolo che ricopre tuttora.
Nella mia opera ho cercato in lungo e in largo di trovare le origini di questa piaga in forma umana, questi tumori della pace di tutti gli uomini buoni. La risposta che ho trovato è, ahimé, incompleta, perché ogni mia ricerca sui Thunderbolts riporta solo flebili incertezze per qualsiasi notizia antecedente i fatti criminosi avvenuti a Gunsmuld nel 1533, mentre di Erasmo Sole Nero, della cui orribile nascita, infanzia ed adolescenza prima del servizio come Oracolo sono zeppi i libri dell’Inquisizione, procederò a narrare senza dubbio alcuno. Unica incognita oltre all’origine di coloro che lo istigarono sulla via del demonio, è la volontà divina, che diede il fuoco purificatore del sole alle mani di uno così scellerato oracolo…”

Padre Paolus terminò la lettura con voce flebile, quasi inudibile, mentre gli altri Reverendi Difensori ascoltavano in silenzio. Con mani così lente da raccogliere polvere, sollevò dal supporto del leggio la lastra di vetro in cui era stato preservato il testo che aveva appena letto. Uno dei suoi attendenti, un frate minore, si mosse per impedirgli lo sforzo, ma il vecchio reverendo s’accigliò, aggrottando la fronte rugosa come un’accavallarsi di cumulonembi pronti alla tempesta, e facendo un singolo cenno di diniego col capo. Il fraticello si ritrasse rispettosamente, facendo passare il suo superiore, che scese gli scalini con quella stanca maestà che hanno solo i vecchi leoni sdentati e i vecchi monaci che hanno speso anni in un paesino di montagna il cui nome faceva ancora ridere a crepapelle la gente a valle.
Avanzò verso il centro della sala. Ai lati c’erano i Precettori, gli altri Reverendi Difensori, i Magistri Minori e Maggiori di Pancrazio e Pugilato, i monaci che coltivavano l’orto, quelli che cucinavano e quelli che pulivano le stalle, tutti i monaci, minori, maggiori, anziani e novizi. Mentre procedeva, teneva all’altezza del petto, vicino al loto ricamato dell’ordine, la pagina incapsulata in vetro, girandosi ogni due passi verso entrambe le file per mostrare la reliquia. Poi, voltosi di nuovo verso il leggio, e verso l’icona dietro di esso, alzava la lastra sopra il capo, aspettando la risposta di rito del coro, che mormorava il breve inno a Eos per poi dissolversi in un mormorio.
L’incedere di Padre Paolus era lento, infinitamente lento, seccante. La sala comune non era così grande, ma lui si impegnava a rendere la cerimonia il più lenta e tediosa possibile, persino per arrivare ad una dozzina di passi di distanza. I pochi monaci che venivano sorpresi con le dita nel naso o a sbadigliare con più di un paio di incisivi visibili non erano puniti in alcun modo, in quanto l’incontrare lo sguardo di quel vegliardo cisposo era sufficiente a farli inabissare nella silenziosa vergogna tipica dei fraticelli novizi, in attesa della loro futura penitenza. La memoria di Paolus era mortalmente lunga ed inossidabile.
Forse dire che regnasse il silenzio era un po’ eccessivo. I frati più anziani, almeno settantenni, rispettavano la regola in modo preciso, ma gli adepti più giovani, almeno trentenni, che erano scampati al corruccio di Paolus, mormoravano qui e lì qualche commento a caldo sul contenuto della pagina del vecchio libro bruciato dell’archivio interno, scambiandosi pareri sul fatto che, dopotutto, era tutto lì, solo una pagina, niente di più, troppo poco per fare qualsiasi cosa. Ovviamente mantenevano un tono di voce basso, molto basso, perché se per un dito nel naso Padre Paolus si limitava ad un’occhiataccia e un pasto saltato, per parole come quelle in riferimento all’archivio interno, si poteva rischiare di saltare il pasto per tutta la settimana, o peggio. Le punizioni corporali erano appena dietro l’angolo, e i Maestri di Pancrazio amavano eseguirle con fantasia tutt’altro che santa.
Ma neppure Paolus poteva impedire alla popolazione del monastero di commentare freneticamente la presenza dell’ospite che aspettava fuori dalla sala.
Non capitava tutti i giorni che una donna si presentasse alle porte del piccolo rifugio di sapere arroccato fra le montagne ai confini fra Glideria ed Eosmeria, e men che mai, vestendo abiti maschili. La notizia, ancor prima dell’effettiva comparsa, aveva precipitato i monaci più giovani in una tumultuosa curiosità che li aveva attratti alle finestre come falene alle lucerne. Poi era stata convocata l’assemblea generale in sala comune, e i Reverendi Difensori avevano iniziato la cerimonia. Quello che molti avevano supposto (e a ragione), era che uno dei libri più importanti, che era rimasto danneggiato nell’incendio del 98, era stato finalmente approvato per la Riscrittura.
E la Riscrittura implicava un pellegrinaggio.
“Chi manca?” sibilarono dei ragazzi delle ultime file. Mentre nessuno dei vecchi guardava, uno allungò il collo a destra e a manca, scrutando nella penombra della sala, sperando invano di individuare chi fosse stato scelto per il compito di uscire nel mondo sconvolto dalla guerra e dall’eresia. Chiunque in quel piccolo angolo di mondo arroccato fra mura, tomi e polvere avrebbe venduto il proprio confratello all’Inquisizione per un’occasione del genere.
“Silenzio!” tuonò Padre Paolus in direzione della fila più audace. “Il prossimo che parla sarà lasciato a meditare nelle celle di contrizione per una settimana!”
Il gruppo di fraticelli loquaci si irrigidì come se fosse stato immerso in acqua fredda. Con stoiche facce di bronzo, guardarono tutti dritto davanti a sé, impettiti e silenziosi, cercando di far valere i loro tre decenni di vita vissuta contro la schiacciante presenza del punitivo superiore ottuagenario. Non appena l’accigliato frate ebbe distolto lo sguardo, insicuro dei colpevoli ma fiducioso che come sempre una punizione sommaria sarebbe stata impartita, questi ricominciarono a far saettare gli sguardi attraverso la sala illuminata solo dalla luce delle candele.
Ad un tratto Paolus alzò un dito, magro e terribile, verso uno dei pochi monaci davvero giovani. Era alto, la fronte abbastanza larga, e abbastanza più vecchio dei coetanei. Aveva già le profonde occhiaie di un lettore avido preda di anni di letture in biblioteche immerse nel silenzio e nella penombra.
Metà dei monaci trentenni, vigorosi e ansiosi di avventure, si volse, come un sol uomo, a guardare il loro compare di dieci anni più giovane. Non c’erano dubbi, Paolus aveva scelto proprio l’orfano.
“Fratello Lutheos” pronunciò questi con voce stentorea.
A quel punto neppure la volontà di Paolus poté trattenere il chiacchiericcio che, dapprima soffuso, era improvvisamente esploso in tutta la parte bassa della sala. I novizi ormai parlavano a voce alta senza più curarsi delle parole di divieto del padre superiore, che erano ormai inudibili nel frastuono. Padre Paolus cercò ugualmente di farsi sentire per qualche minuto, ma poi ci rinunciò e decise di attendere che il chiasso si placasse, segnandosi a mente i volti e i nomi dei monaci che facevano più baccano, per poterli seviziare più tardi. Dopo averli mandati tutti a mente nel giro di una dozzina di secondi, non celò neppure la grinza soddisfatta che gli era comparsa sul suo volto arcigno. Nel frattempo il silenzio aveva ripreso il possesso della sala e Paolus ne approfittò per chiamare una seconda volta il ragazzo, già turbato la prima volta e ancora più sconvolto la seconda.
“Fratello Lutheos” ripetè calmo. “Sei stato scelto per questa Riscrittura. Hai udito il testo. Accetti il tuo compito?”
Lutheos esitò.

La porta della sala comune si aprì. I monaci uscirono in modo ordinato, tornando ognuno alle proprie faccende. Molti si girarono verso Alison, facendo attenzione a non destare troppo l’attenzione della donna in armatura seduta in attesa sulla lunga panca in legno dell’atrio all’ingresso del monastero. Tuttavia, la loro discrezione, affinata da anni di silenzio, era sprecata, perché Alison si era tolta uno dei guanti d’arme e stava rivolgendo tutta la sua attenzione all’esplorazione della propria cavità nasale.
Ben presto il pacato fiume di devoti, studiosi e novizi si diradò, e sulla soglia comparvero Padre Paolus, due monaci di mezza età che probabilmente pregavano tirando testate alle pietre, tanto butterata era la loro faccia, e quello che sembrava un novizio di circa vent’anni portati male, asciutto, non troppo magro ma con due occhiaie così. Aveva corti capelli appena ritti sulla testa ancora libera dalla tonsura, ed era bianco come un cencio. Teneva in braccio un foglio di pergamena bruciacchiata pressato fra due placche di vetro saldato, e aveva l’aria che quell’affare pesasse molto, ma molto di più dell’effettivo peso.
Il singolare quartetto avanzò in direzione di Alison, che stava ancora scaccolandosi amenamente, quando furono finalmente davanti a lei. Per qualche secondo rimase lì, seduta con la schiena appoggiata allo schienale, poi le tornarono in mente tutte quelle questioni di etichetta che Padre Paolus le aveva menzionato al suo arrivo al monastero. Non riuscendo a ricordarsene nessuna, si alzò, avanzò verso il giovane monaco e gli tese la mano nuda. Non si offenderanno per un gesto del genere, pensò.
Lutheos rimase interdetto per un attimo, mentre al suo fianco Paolus diventava paonazzo in due secondi netti, poi tese la mano a sua volta, anche se nel frattempo Alison si era resa conto di quale mano aveva teso e l’aveva ritratta di scatto, per presentare la mano inguantata di cuoio e metallo.
“Salve” disse la mercenaria. “Sono Alison.”
“Alison…?” disse Lutheos, perplesso. “Non avete un cognome?”
“Alison e basta” replicò secca lei. “Mai avuto. E tu saresti…?”
“Fratello Lutheos, dell’Ordine del Loto, al vostro servizio” disse servizievole. “Sono cresciuto qui presso i monaci, quindi ho preso subito i voti e un nome di beato canonico e quindi neanch’io ho un cognome.”
“E chi l’ha chiesto?” borbottò Alison riportando lo sguardo su Paolus, che stava consumando a ritmo rapidissimo gli ultimi anni della sua vita nel trattenersi dal sottolineare tutte quelle infrazioni del protocollo che ovviamente non poteva punire. “Padre Paolus, è questo il monaco che devo scortare?”
“Ciò è esatto” disse Paolus infastidito. “Fratello Lutheos è stato scelto per la Riscrittura, che consiste in una ricerca sul campo delle fonti storiografiche utilizzate da un autore la cui opera è stata gravemente danneggiata.”
“Sì, sì” disse Alison annuendo come se gliene importasse. Il suo lavoro , ma per poter portare a casa la paga doveva comunque assecondare il committente, almeno fino a quando non usciva dal suo campo visivo ed uditivo. “Insomma, io dovrei semplicemente fare da balia allo storico in erba, no?”
Lutheos la guardò infastidito. “Con tutto il dovuto rispetto, ho letto molti trattati di storia e conosco a menadito alcuni dei lavori di storiografia più influenti del secolo scorso…”
“Lutheos, è abbastanza” disse Paolus. Si volse di lato, indicando la via per l’ufficio. “Parleremo in privato.”

Alison, dato l’ingombro della sua armatura, non si sedette sulle comode poltrone dell’ufficio del padre superiore. Lutheos, per rispetto di Padre Paolus, restò in piedi affianco a lei, con la lastra di vetro ancora in mano.
Paolus si accomodò invece dietro la scrivania, prendendo un libretto di appunti legati da uno spago e porgendolo a Lutheos senza neppure alzarsi. I due nerboruti e butterati monaci rimasero come due colonne in saio ai lati di Paolus, silenti.
“Questo quaderno contiene tutti i frammenti ricopiati dalle pagine successive del libro” disse il vecchio. “Quasi ogni pagina è stata distrutta, i pezzi leggibili recuperati sono davvero pochi e molto frammentari. Alcuni, limitati ad una sola frase. Altri ad una sola parola. Certe volte non li abbiamo nemmeno trascritti.”
Lutheos prese il libello e lo aggiunse al prezioso carico, maneggiando il tutto come se fosse bastato un soffio d’aria a distruggere il vetro e la pagina. Paolus lo notò e sospirò.
“Non vedi preoccuparti per il vetro, l’abbiamo commissionato ad un mastro vetraio” disse fiero. “Chiaro come il cristallo, difficilissimo da rompere. Spesso, resistente e ben saldato ai bordi. Inutile dire che costa una fortuna, quindi non perderlo. Tienilo sempre a vista.”
Le parole di Paolus non migliorarono lo spirito di Lutheos, o la sua eccessiva cautela nel tenere la reliquia. Alison, comunque, pungolata dalle parole di Paolus in merito ai costi, cercò di portare la discussione sull’argomento che le stava più a cuore: il suo compenso.
“Dunque è una missione di una certa importanza, visto che state impiegando tante risorse”, disse, sfoggiando un sorrisetto. “Quindi, discutiamo di quello che non è stato chiarito quando ho trovato l’annuncio giù in città: quanto sarò pagata per il mio lavoro di guardia del corpo? Il mondo là fuori è un posto pericoloso di questi tempi, e sembra che vi serva molto la Riscrittura di questo libro-”
“Il vostro compenso sarà calcolato su una base di mille talleri d’oro, che vi saranno consegnate come premio e rimborso alla fine del viaggio. Ogni danno attribuibile a voi da parte di fratello Lutheos abbasserà il premio di conseguenza.” Gli occhi di Padre Paolus erano due fessure impenetrabili. “In seguito alla Riscrittura, riceverete parte degli introiti della vendita delle copie del libro, dal due al cinque per cento, diciamo, oltre a figurare come assistente sul campo dell’autore.”
“Venderete il libro?” chiese Alison.
“Solo ai facoltosi richiedenti” disse Paolus, marcando la parola facoltosi. “Noi preserviamo la conoscenza, non la distribuiamo al primo che passa.”
“Beh, mille talleri sono una cifra sostanziosa” disse Alison. “Accetto il lavoro. Tanto si tratta di difendere il vostro fraticello amanuense fino alle Voragini Rosse, giusto? Nel giro di un mesetto dovremmo raggiungerle, documentare qualsiasi cosa vi serva, e tornare-”
“Non esattamente” disse Paolus con parole dure, quasi spigolose. “Fosse stato solo questo, avremmo parlato di appena cento, forse centoventi talleri. O forse avremmo mandato direttamente qualcuno di più esperto del buon Lutheos a cavallo di un mulo, senza scorta. Qui si parla di riscrivere un libro che narrava gli ultimi ottant’anni di storia, cercando le fonti più attendibili e ripercorrendo le tracce dell’autore originale, fino ai confini del mondo. È un pellegrinaggio, e quindi durerà molti mesi… forse anni. Lustri, persino.”
Stavolta fu il turno di Alison di serrare gli occhi fino a lasciare visibili solo due capocchie di spillo nere e furenti. “Cosa? Mi era stato detto di un incarico a medio-lungo termine, ma questo-”
“Sia ragionevole” disse Paolus con l’aria di chi apprezza la frustrazione altrui come un raro liquore. “Il rimborso di mille talleri copre ampiamente la spedizione, supponendo che non vi cacciate nei guai più di quanto sia possibile girando per paesi in guerra, e contando anche gli introiti per le vendite dovreste essere in grado di vivere il resto della vostra vita senza sguainare una spada per soldi. Potreste trovarvi una buona casetta in campagna, un marito e sfornare tanti bambini sani e forti…”
“Non c’è bisogno di infiocchettare la verità, so fare i miei conti” disse Alison astiosa. “Non sono affari vostri quello che ci farò con i soldi, ma mille talleri più bonus mi vanno bene; accetterò il lavoro comunque. Ma che questa sia l’unica sorpresa, o dovrete riscrivere più di un solo libro.”
“Saggia decisione” disse Paolus, neppure minimamente intimorito, distogliendo lo sguardo dalla mercenaria e frugando nei cassetti alla ricerca di pergamene per stilare il contratto. “Anche perché non avremmo molto altro denaro comunque. I fondi della chiesa per questa Riscrittura sono arrivati solo di recente, e sono comunque abbastanza ristretti. Abbiamo già speso gran parte della somma fornitaci dal Ministero Ecclesiastico per la Preservazione dei Beni Culturali delle Comunità Monastiche per riparare i danni dell’incendio del 1598.
“Ho notato.” Alison fece spaziare lo sguardo attraverso l’ufficio di Paolus. Le poltrone in feltro, la scrivania di mogano rosso delle colline di Corolla, le lampade intarsiate in ottone ed electrum di chiara fabbricazione glideriana, e la libreria opera di un mastro falegname dell’ovest. La mercenaria non si intendeva d’arte, ma la roba che aveva in ufficio quel vecchio bavoso non era decisamente artigianato locale a basso prezzo. Probabilmente avevano pensato solo all’ultimo momento di spendere del denaro per quello che effettivamente aveva portato i soldi al monastero, e cioè i libri. Alison si domandò perché i monaci vivessero a stretto contatto con tutta quella tediosa letteratura se non piaceva neppure a loro.
Presto si sarebbe resa conto che il suo compagno di viaggio era invece proprio il topo di biblioteca che si era inizialmente aspettata di incontrare, ma con una sostanziale differenza.

Dopo una veloce firma con la sua incerta e mai troppo praticata calligrafia, Alison fu ufficialmente ingaggiata. Le fu fornita una lettera di consegna uguale a quella data a Lutheos, anche se fu comunque chiarito ad entrambi che il potere di quel documento di aprire porte era abbastanza limitato. Per ottenere accesso ad archivi statali importanti si sarebbero dovuti arrangiare con la burocrazia locale, senza alcun aiuto. Alison sospirò rumorosamente, mentre Lutheos si affrettò a rassicurarla, promettendo di occuparsi del necessario.
I due furono formalmente benedetti dal Padre Superiore, quindi scortati fuori dai due monaci dalla faccia di pietra, che a quanto aveva detto Paolus, erano due Maestri Minori di Pugilato. Alison si domandò chi avesse bisogno di pugilato in un monastero di amanuensi, e quasi immediatamente le venne voglia di sfidare i due uomini ad una bella scazzottata, ma preferì star zitta. Meglio non far arrabbiare i committenti.
I monaci condussero i due alle stalle, dove Alison riprese il suo cavallo, mentre a Lutheos fu affidato un mulo che a giudicare dalla stazza e dalle ossa in vista doveva mangiare persino di meno dei monaci nelle celle di contrizione. Lutheos storse la bocca, ma stette in silenzio. Appoggiò una mano sul collo del mulo e sperò che l’animale non gli desse problemi durante il viaggio o non gli morisse sotto i piedi.
“Molto bene, qui ci separiamo, fratello Lutheos” disse uno dei due maestri in direzione del giovane amanuense. “Speriamo che il tuo difensore sia più abituato di te al mondo esterno e che ti difenda egregiamente.”
“Grazie, Maestro Obbius” disse a capo chino e con aria mesta il monaco ventenne. Alison lo prese per un braccio e lo tirò lievemente per dirgli di muoversi, poi scoccò un’occhiata al monaco più vecchio. “Sono perfettamente capace di badare al ragazzo, senza contare che lui ha quasi la mia età e quindi dovrebbe essere capace di badare a se stesso. Smettetela di demoralizzarlo.”
“Non parlare di cose che non sai, donna” disse l’altro monaco. “L’unico motivo per cui abbiamo scelto lui e non altri più esperti è che Lutheos è un orfano, un figlio adottivo di questa comunità monastica.”
“Bel modo di trattare i figli adottivi, allora” disse Alison, sputando a terra. “Sono contenta di non essermi fatta suora, allora. Meglio fendere la spada che sparare stronzate da sopra i libri.”
“Piano con le parole, mercenaria” disse Obbius. “Non è una questione di apprezzamento delle qualità di fratello Lutheos. In tutti gli anni vissuti con noi non ha mai eccelso particolarmente in nulla, quindi siamo solo realisti riguardo le sue capacità. È una questione economica. Gli unici altri monaci giovani sono tutti secondo o terzogeniti di famiglie nobili minori. Se avessimo scelto uno di loro, ci saremmo ritrovati davanti le loro famiglie a cercare di strapparci introiti maggiori per la parte dei loro figli nel lavoro di Riscrittura. Invece, con Lutheos, ogni introito relativo all’autore andrà alla comunità. Ci guadagneranno tutti.”
“Piantatela di cacciar balle” tagliò corto Alison. “Siete solo vecchi tirchi come la maggior parte degli ecclesiasti là fuori. Avete solo meno soldi e meno potere sulla gente comune. Ma tant’è. Il mio compenso lo avrò, e voi avrete il vostro. Non sta a me fare la predica ai frati.”
“Stai facendo camminare la tua lingua sul filo dell’eresia, donna impudente” disse l’altro maestro. “Farai bene a chiudere la bocca prima che ci pensiamo noi.”
“Sì, sì, come dite voi” disse Alison dando loro le spalle e allontanandosi con le cavalcature e  Lutheos al seguito. Li avrebbe picchiati con calma alla fine del lavoro. Certa gente non cambiava dopo un mese o un anno, e lei sarebbe stata lieta di ritrovare quella stessa spocchia e pestarla a sangue.
Fuori dall’edificio, lungo il percorso del piccolo giardino ciottoloso che conduceva alla strada che scendeva dalla montagna, li attendeva un gruppetto di monaci di circa trent’anni che avevano l’aria di aver saltato l’ora di preghiera solo per motteggiare il ragazzo in partenza, mossi più dall’invidia che da effettivo odio. Le parole che sibilarono ai due mentre conducevano i loro destrieri a piedi, però, furono ugualmente taglienti:
“Buon viaggio, orfano!”
“Finalmente te ne vai, eh?”
“La mia famiglia te la farà pagare, orfano!”
“Ti hanno trovato una badante, eh?”
“Povera mercenaria, con Lutheos resterà pura e vergine! Con me, invece-”
“Per Eos, inizio ad avere a noia questo posto” mugugnò fra i denti Alison, e si voltò verso uno dei monaci più vicini e più impertinenti, sguainando nel frattempo la spada. “Tornate a scrivere i vostri libri, fraticelli, o mi assicurerò che il vostro voto di castità sia impossibile da spezzare trasformandovi tutti in eunuchi.”
I frati indietreggiarono di mezzo passo. “Non ci fai paura, donna” disse un monaco di trent’anni, con la faccia da rospo. “Qui al monastero ci insegnano ad avere la meglio sui nemici armati come te.”
“Beh, ho visto i vostri pugili con le loro facce quadrate” disse Alison, non troppo impressionata. “Già temo una testata delle loro. Beh, avanti, sto aspettando. Chi vuole mostrarmi le vostre abili mosse per primo?”
Il fraticello impertinente guardò i suoi compagni per supporto morale, ma non ne trovò neppure un’oncia, visto che i suoi compari erano indietreggiati con passo felpato e veloce. Si rivolse verso Alison, alzò le mani, e cercò di scattare con i palmi tesi per afferrare le due facce della lama tesa davanti a lui, eseguendo una mossa rotatoria volta a disarmare molto comune al monastero. Prima che potesse attuarla, la lama sfuggì di lato sotto di lui, mentre improvvisamente lo stivale di Alison entrava nel suo campo visivo. Il monaco ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo prima che un pugno guantato di ferro e cuoio gli atterrasse fragorosamente sul grugno. Il pover’uomo cadde indietro, mugolando per il naso chiaramente rotto.
Alison lo guardò dall’alto in basso, togliendosi una ciocca dei lunghi capelli biondo cenere che gli era ricaduta sul volto. “Hm. Come pensavo.”
Lei e Lutheos proseguirono. Nessuno li inseguì.

“Ho raccolto della legna” disse Lutheos. Sottobraccio teneva una catasta di legno sufficiente a bruciare un intero sabba stregonesco, a tracolla portava una borsa a tracolla in pelle che aveva confezionato durante il precedente giorno di viaggio, e sul volto aveva un’espressione entusiastica.
Alison lo guardò sorpresa da sopra il cumulo di pietre su cui era seduta. “Sollevi parecchio. Pensavo fossi più gracilino.”
“Non tutti i monaci praticano le arti marziali per avere corpi come quelli del Maestro Obbius e del Maestro Firmus. E comunque io non sono così forte, davvero. Sono solo molto allenato a sopportare le fatiche fisiche, sono molto più facili da ignorare di quelle psicologiche.”
“Psico-che?” sillabò Alison, poi ci rinunciò. Non era tipa da parole troppo complesse. “Beh, bella borsa che hai lì. Non ti credevo neppure così bravo con le pelli. Vuoi occuparti tu di scuoiare il coniglio che ho preso?”
“Se la povera bestiola è ormai morta, d’accordo” rispose lui sconsolato, e lei gli passò la selvaggina, che lui spellò con pochi colpi e un paio di strattoni nei punti giusti. Riconsegnò la massa di carne e tendini ad Alison, che procedette a cucinare. Presto si ritrovarono a masticare avidamente la cena, nel sommesso concerto degli animali notturni delle foreste di conifere.
“Io ci avrei messo del rosmarino” suggerì Lutheos. Alison lo guardò storto. “Ti sembro una che porta con sé il rosmarino?”
“N-no” disse Lutheos, imbarazzato. “Scusatemi.”
“Oh, piantala e dammi del tu, hai praticamente la mia età.” Alison continuò a mangiare per un po’ in silenzio, quindi guardò nuovamente Lutheos. “Perché insegnano a lottare e a fare a pugni a dei monaci? Capiscimi, sono d’accordo, chiunque dovrebbe saper fare a pugni nella propria vita, specialmente gente che vive solo fra i libri. Ma perché?”
“Il nostro monastero custodisce numerosi libri molto antichi, è un ricettacolo di conoscenza di secoli della cultura eosmeriana e straniera” spiegò Lutheos nelle pause fra un boccone e l’altro. “Siamo molto fieri della gamma di bestiari e di trattati naturalistici e storici che abbiamo sulla formazione del Santo Stato di Eosmeria.”
“Come se ci fosse da esserne fieri” bofonchiò Alison.
“Forse non c’è da essere fieri di quello che è stato fatto dall’ecclesiarchia, ma non c’è nulla di male nell’essere fieri di aver trascritto la storia.” Lutheos ora parlava con più fervore. “Neanch’io condivido quello che fa la maggior parte degli uomini di chiesa fra un sermone e l’altro, ma credo che la nostra religione sia vera e giusta. E credo nel sapere che tramandiamo.”
Alison sollevò appena le sopracciglia. “Sei proprio un topo di biblioteca dagli alti ideali, eh? Comunque non hai ancora spiegato il perché delle arti marziali.”
“Si spiega da solo” disse Lutheos. “Per proteggere la conoscenza, abbiamo adottato lo strumento delle arti a mani nude: lotta, pugilato, pancrazio, e così via. Sono letali solo se necessario, e usate solo per soggiogare i violenti che danneggiano la cultura o vogliono trafugare i libri. Si presuppone che sia uno stile di combattimento pacifico.”
“Dillo a quei tuoi due maestri e ai tuoi confratelli” lo schernì lei. “Sembravano ansiosi di soggiogarmi, eccome. Pacifico un gran paio di palle.”
Lutheos non raccolse la battuta. “È vero. Ma io sono comunque uno studente delle arti marziali per questo motivo, per quanto sembri ossimorico-”
“Oh, senti, parla come mangi” sbottò Alison. “Ho già lasciato correre ricettaculo di conoscenza e la mamma di bestiari e ora te ne esci con ossiqualcosa. Davvero, piantala. Non ho mai studiato molto la letteratura, le scuole cittadine insegnano giusto a leggere e scrivere e a far di conto, queste parole non le ho mai sentite e non le capisco. Quindi, se vuoi che andiamo d’accordo, vedi di essere più comprensibile quando parliamo.”
Lutheos annuì e tacque, sentendosi inadatto alla situazione.
“Alison?” disse titubante. “Posso chiedervi… chiederti… una cosa?”
“Parla” disse lei tagliente.
“Possiamo fare un po’ di pratica di combattimento?”
Alison lo guardò perplessa. “Sembra che tutti i frati cerchino di fare a botte con me” borbottò cupa, quindi si alzò, mise mano alla spada e guardò Lutheos con aria preoccupata. “Non fa bene fare esercizio subito dopo mangiato, lo sai?”
“Starò bene” garantì Lutheos, senza troppa convinzione. Si alzò da terra, quindi assunse una posizione fluida, non troppo pronunciata, con le mani alzate di poco sopra l’altezza della vita, la schiena dritta, le gambe appena allargate, con il rumore dei calzari che strisciavano fra gli aghi di pino.
“Devo attaccarti io?” chiese lei, rendendosi conto che lui non accennava a caricarla.
“Il mio è uno stile di combattimento pacifico-” ripeté Lutheos.
“Sì, sì, ho capito” disse Alison, e scattò in avanti, con la spada levata, pregando che il ragazzo sapesse quello che faceva.
Lutheos eseguì tutto con tale calma da sembrare lentissimo, ma riuscì ad eguagliare la velocità di Alison come se lei avesse avuto dei pesi legati alle braccia. Eseguì la stessa manovra del suo confratello, solo avanzando prima di lei e afferrando l’arma vicino all’elsa con uno strattone veloce che fece volare il suo gomito pericolosamente vicino al mento di Alison. Non riuscì a strapparle la spada per poco, ma si ritrasse con ottimi riflessi prima che lei lo scalciasse via.
“Ehi, non eri male!” disse lei. “meglio di quel tuo confratello all’uscita dal monastero, perlomeno.”
Lui si guardò le mani, poi Alison, poi di nuovo lei. “Lo crede… lo credi davvero?”
Alison annuì pensierosa. “Vi insegnano solo questa roba per chi attacca con una spada?”
“No, anche tecniche di attacco, ma non sono prudenti” disse lui titubante. “Io ho sempre il timore di far male ai miei compagni di pratica, quindi non sono molto sicuro di saperle usare.”
Alison fiutò qualcosa d’interessante. Il sangue le ribolliva. “Dai, fammene vedere qualcuna.”
“Preferirei di no” disse Lutheos scuotendo vigorosamente la testa. “Non è una buona idea, davvero.”
“Se sei scarso come dicevano i tuoi insegnanti, dovrei cavarmela, giusto?” lo stuzzicò lei, facendo roteare la spada. “O devo darti qualche incentivo?”
Lei la guardò perplesso e preoccupato, ma non disse nulla.
“Devo minacciarti di distruggere quella maledetta pagina sottovetro che ti porti appresso?”
“Non oseresti.”
“Oserei. Hai letto e riletto quella pagina da quando siamo partiti e ti ho sentito ripeterla a memoria e segnartela su un quadernino” ghignò lei con una mano verso la bisaccia di Lutheos appoggiata su una pietra. “L’informazione l’hai salvata. La reliquia, in fondo, non ti serve. Potrei venderla, chissà…”
Lutheos non ebbe bisogno di altri incentivi. Fece un passo avanti per fermarla, ma lei roteò indietro per tentare un attacco a sorpresa. Lui la accolse in posizione.
Con un passo di lato schivò il fendente dall’alto che arrivava da davanti, quindi colpì dal basso il braccio di lei, poco sopra il gomito, e con un secondo colpo sul fianco, coperto solo da una cotta di maglia. La spinta fece barcollare Alison qualche passo lontano da Lutheos, finendo per dargli le spalle. Prima che potesse girarsi, ricevette un colpo alla nuca, accompagnato da un ferreo “non si bruciano i libri”. Le parve un colpo leggerissimo, appena un buffetto, ma si rese conto come in un sogno di aver rilassato le braccia, lasciandole penzolare inerti, tenendo a malapena la spada fra le dita. L’adrenalina che aveva in corpo sembrava evaporata. Prima che potesse riuscire a rialzare l’arma, qualcosa turbinò dietro di lei colpendola un numero imprecisato di volte nello stesso momento e in punti diversi del corpo. Si ritrovò boccheggiante a terra, con l’odore pungente degli aghi di pino, terriccio e sassi dentro le narici affamate d’aria. Si rialzò tastando in giro alla ricerca dell’elsa dell’arma, ma non la trovò. Alzò lo sguardo su Lutheos, che la teneva in mano, fuori dalla sua portata.
“Prometti di non danneggiare nessun libro d’ora in poi” le intimò.
Lei lo guardò come se fosse stata l’ultima cosa di cui preoccuparsi al momento.
“Prometti” ripeté lui.
Lei roteò gli occhi, sbuffò, lo guardò lasciando intendere seriamente? e lo accontentò.
Lui le riconsegnò la spada, che lei riprese con un burbero strattone. Si ravvivò i capelli sporchi di pinoli e lo guardò malissimo.
“Che c’è?” disse lui.
“E sono tutti così bravi al tuo monastero?” chiese.
Lui sembrò pensarci su.
“Forse no.”
“E allora come mai tutti ti considerano così incapace?”
“Forse è perché, siccome ero più piccolo degli altri, mi allenavo con un vecchio maestro, che è morto sei anni fa, e tutti pensavano che nel frattempo mi fossi rammollito. Lo pensavo anche io.”
“Mi dispiace per il tuo maestro. Era bravo?”
“Era il migliore, a detta di tutti.”
“Allora si spiegano due cose.”
“Cosa?”
“Il fatto che tu mi abbia messo a tappeto e che nonostante questo tu sia un imbecille.”

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