giovedì 30 maggio 2013

Pilgrimage - Benvenuti a Gunsmuld 1.0

6° giorno di Decimese, Anno Santo 1533.

Una campana spaccò il silenzio della mattinata.
Un viandante, attirato dal suono della campana, si avvicinò alla cittadina. I suoi vestiti puzzavano di polvere da sparo, legno d'olivo e grano. Nello zaino, riposti in scomparti sagomati, alambicchi e ingranaggi, qualche razione a base di focacce guadagnata col sudore della fronte, numerose ampolle di ingredienti dai nomi lunghi e astrusi, e due piccole fiaschette: una d'olio, gentilmente offerta dai recenti datori di lavoro a Terrimane, nei campi a sud, e una di acqua distillata. Smontato e riposto in un panno ricavato da un lenzuolo, un moschetto riposava nascosto nello scomparto segreto dello zaino. Alla cintura, invece, un'ascia, perché Victor doveva pur sempre difendersi, e anche se il bucolico paesaggio dei campi di grano delle campagne di Eosmeria suggeriva una pace sempiterna, fra le spighe e gli occasionali oliveti non si nascondeva solo selvaggina, o qualche talpa. Il brigantaggio era qualcosa di perfettamente regolare, tanto che ogni carovana di mercanti che solcava le strade riarse fra le campagne aveva sempre abbastanza guardie in abbondanza. 
Peccato che in quel periodo i traffici fossero diminuiti, si lamentava Victor. La scarsità di merci e risorse lo costringeva sempre ad andare a raspare in giro come un topo, girovagando per le colline, sperando in un'erba medicinale o in un piccolo accumulo di minerali utili. D'altronde, era molto meglio così che pagare gli ingredienti per le pozioni a caro prezzo presso l'ennesimo mercante dalla pelle nera. Non era il tipo stereotipato di razzista che se la prendeva con i trafficanti di Corolla, ma non si era comunque mai abituato a trattare con certi avidi aguzzini dalla pelle di giaietto che millantavano la purezza del salnitro per una moneta d'argento in più.
Victor giunse nella cittadina sonnolenta, lasciandosi alle spalle il frinire dei grilli nei campi, e il martellare di un fabbro lo attirò inevitabilmente alla forgia del paese. L'uomo basso, peloso e fuligginoso (quasi un nano) non si voltò neanche a guardare Victor, tanto era concentrato su quello che aveva da fare. A lato della forgia, oltre un bancone che sapeva di carbone e segatura, fra i vari attrezzi del mestiere, stava un pezzo di carta spiegazzato che sembrava non appartenere alla buia officina.
Victor si avvicinò al bancone, dove stavano due sgabelli e l'occhio gli cadde oltre il bordo, fra i pezzi sul tavolo da lavoro. Vide un innesco, un grilletto, un cane, e tirò le somme. I paesani probabilmente non avevano mai visto un'arma da fuoco in tutta la loro vita, ma lui sì. Protese una mano.
Aspettò pazientemente che il fabbro finisse di martellare e si girasse verso di lui. Victor stava rigirandosi fra le mani i pezzi, di fattura un po' grezza, di quella che sarebbe diventata inquivocabilmente una pistola, e sfogliava i fogli in carta pregiata, vergati nella forma di schemi di costruzione da una mano dalla calligrafia precisa. Il fabbro riconobbe lo sguardo di una persona che sapeva cosa stava combinando e Victor riconobbe nel fabbro la paura di essere stato scoperto.
Il fabbro reagì subito, avanzando di due passi per strappare di mano a Victor i pezzi dell'arma, ma esitò a metà strada. Il fabbro sudava copiosamente, e questo non aiutava a migliorare l'odore complessivo della forgia. Non disse nulla, ma respirava forte, con le narici dilatate, mentre sui suoi pelosi muscoli da maniscalco si mescolavano fuliggine, fumo, polvere e paura. A Victor cadde l'occhio su un cartello lasciato appeso affianco al bancone, e suppose di poter tentare la sorte.
"Hai bisogno di un assistente?"

Chi invece era abituato ai mercanti di Corolla, ma non per questo particolarmente ansioso di incontrarne, era Salzus. Barba sfatta, cappello a tesa larga, una giacca sporca di cuoio, e stivali infangati. Diciamo pure che neppure i mercanti erano molto ansiosi di incontrarlo, come anche la stragrande maggioranza dei comuni cittadini eosmeriani. 
Salzus El Bat puzzava di fango, sangue e guai, come tutti i mercenari.
La combinazione non era delle migliori, ma nascondeva l'odore della polvere da sparo che aleggiava sotto quegli effluvi non particolarmente raffinati, e questo lo proteggeva dall'essere accusato di qualcosa di più che della semplice indecenza dei pezzenti, dei vagabondi e dei mercenari.
Con il moschetto avvolto in un panno sporco di grasso, il sacco dei suoi pochi averi appeso ad un cappio legato intorno al moschetto, e numerosi coltelli arrugginiti nascosti negli anfratti della sua giacca, Salzus fece il suo ingresso in una piccola cittadina di frontiera dove aveva sentito di un mistero la cui soluzione poteva fruttargli la paga per cibo, birra e lenzuola pulite per diverse notti. Confidando che suddetta soluzione potesse essere ottenuta sul filo dei pugnali, o con una breve sparatoria senza testimoni, il mercenario si incamminò per le vie del borgo, osservando le case a due piani dai balconi larghi e dai tetti poco ripidi. Un nugolo di ragazzini sciamò lungo la strada correndo e gridando appresso ad un pallone di stoffa e passò oltre lo straniero senza curarsene. Anche se erano solo bambini, Salzus ritenne una buona idea tastare rapidamente il contenuto delle proprie tasche. Dov'era vissuto negli ultimi tempi c'era sempre stata una netta competizione fra i sindacati criminali, che spesso si aggiudicavano una buona fetta di furti e scippi grazie a borsaioli giovanissimi, praticamente ancora coi denti da latte.
Non trovò nessuna mancanza particolare (non che ci fosse molto da rubare, comunque), ma si accorse frugando nella tasca dei proiettili che il sacchetto delle munizioni era fin troppo leggero. Aveva quasi finito il piombo.
"Urge fare rifornimento" disse, rivolto a nessuno in particolare, e dopo aver chiesto informazioni ad un contadino dal naso arricciato, si diresse nella direzione della forgia di paese.
Appena oltre la soglia, nella penombra della fucina, stava un uomo tarchiato, puzzolente quasi quanto Salzus, e un secondo uomo, più giovane, con i capelli di un biondo sporco, che indossava una camicia sudicia, ma mai quanto quella del suo peloso datore di lavoro. Il vecchio martellava su un pezzo di ferro arroventato lungo circa due spanne, tenendolo con le pinze; il giovane, invece, martellava su dei pezzi già quasi freddi con un martello più piccolo per assestarne bene la forma e, dando qualche occhiata sporadica a dei fogli sul tavolo, spiegava al vecchio cosa fare.
Salzus non era uno sperimentatore, né uno scienziato, né un ingegnere; però aveva montato e rimontato migliaia di volte fucili come quello vecchio e malandato che si portava appresso. Gli inneschi, le canne, il manico gli risultarono fin troppo familiari. Il suo sguardo tagliente incontrò per un attimo quello di Victor, poi si spostò su quello del maniscalco.
"Salve, buon uomo" disse al fabbro facendo finta di nulla, col suo accento aspro e veloce del sud, e fece qualche passo dentro, in modo da non essere sentito dall'esterno. Nessuno sembrò prestargli attenzione.
Un ragazzetto sporco e bisunto gli passò affianco di corsa. "Padrone!" disse al fabbro. "Sono pronti i ferri di cavallo per i frati?"
"Un attimo!" sbottò il fabbro. "Un centinaio di ferri di cavallo sono difficili da fare in una sola notte, lo sanno questo, gli stramaledetti frati?"
Si volse verso Salzus. "Allora? Che vuole?"
"A me non sembrano ferri di cavallo, quelli che state martellando" disse Salzus. Il bambino, intanto, aspettava  una risposta da mandare a chi l'aveva inviato.
Il vecchio lo guardò sospettoso, quindi scambiò qualche occhiata d'intesa con il giovane in camicia. "Victor, vuoi occupartene tu? Io ho da fare."
Il suo assistente da meno di un giorno annuì gravemente e poggiò il martello e il pezzo su cui stava lavorando. "Salve, come posso aiutarla?" esordì con voce ferma.
Per tutta risposta Salzus estrasse il moschetto logoro dal suo panno. "Siete in grado di riparare questo?" disse.
"Cos'è..." iniziò a dire il bambino, gli occhi sgranati, ma il fabbro gli tirò un ceffone per farlo tacere. "Per carità, ma è matto? Lo metta via, prima che un uomo di chiesa lo veda! E tu taci!" disse sbottando con un tono più basso. Il bambino, probabilmente abituato a simili trattamenti, tacque subito, trattenendo le lacrime e facendosi piccolo piccolo. Il maniscalco lo mandò via con un gesto della propria mano callosa, dopo avergli dato in mano una scatola con qualche dozzina di ferri per i frati e ammonendolo di non farne parola con nessuno. Salzus si volse appena al passare dello sguattero, poi riportò la sua attenzione sul vecchio ansioso e sul suo assistente, dall'aria tesa, ma controllata.
"Lei..." iniziò titubante il fabbro, "Lei... è il cliente?"
Alla parola 'cliente' Salzus sollevò un sopracciglio, quindi abbassò l'arma e sollevò la mano destra cercando di comunicare le proprie intenzioni non ostili.
"Scusatemi, ma non capisco. Ci dev'essere un equivoco-"
"Metta via l'arma, intanto!" lo incalzò l'uomo. "Se solo lo vedesse qualcuno... oh, per Eos, in cosa mi sono cacciato?"
Salzus accontentò l'uomo. "Scusi, pensavo non fosse un così grosso problema. E' da un po' che mi manca un contatto con la gente civile."
E si vede, pensò Victor.
Salzus finì di coprire il fucile con il panno. "Vorrei far riparare questa mia arma, o comunque procurarmi qualche buona arma a buon prezzo, e delle munizioni. Forse avrò bisogno anche di qualche inform-"
"Abbassi il tono di voce, porca miseria, ed venga nel retro!" sbottò il fabbro, preoccupato dalle possibili orecchie e occhi indiscreti. "Victor, tu ne sai qualcosa in più su questa roba proibita, vieni anche tu, penserò dopo al negozio, ai ferri e a queste maledette ordinazioni."
Il retrobottega era pieno di casse di ferro grezzo ammonticchiate su tavoli da lavoro, il retro della grossa fucina panciuta da un lato e numerosi stampi per armi, oltre ad alcuni attrezzi per opere di carpenteria di base. Una porta di legno ampia, per far entrare i cavalli e ferrarli, era al momento chiusa, lasciando filtrare la luce del pomeriggio fra le assi.
Il fabbro mostrò a Salzus il paio di fogli che Victor teneva con sé, e gli chiese se potevano essere d'aiuto per costruire o riparare il moschetto, pagare per i materiali e andarsene al più presto col beneficio del silenzio. Salzus diede un'occhiata ai progetti con lo sguardo di una capra che guarda gli schemi di costruzione di un ponte. 
"Questa è una pistola", disse infine, grattandosi la barba. "Non penso che possa essere d'aiuto per il mio moschetto."
"Beh, questo non era un mistero" disse sarcastico Victor. La forma del calcio, la struttura della camera d'ignizione, il sistema dei grilletti... le due armi erano costruite secondo schemi molto differenti. Un ulteriore sguardo all'uomo che aveva davanti gli confermò che non era esattamente un esperto di metallurgia o di meccanica, e che forse sapeva solo usare l'arma, ma non era così esperto nel ripararla. Però, al solo sentir parlare di armi le mani cominciarono a fremergli. Prepotente come la sua voglia di vivere, l'ardente desiderio di rimettere le mani sul grilletto e sentire di nuovo la vibrazione del rinculo nel petto gli mise in mente un'idea. 
"Insomma, forestiero? Cosa ti porta qui?" lo incalzava intanto il fabbro, che ancora non si capacitava che due uomini armati con fucili si presentassero alla sua porta nello stesso giorno. "Un'arma eretica, Eos mi perdoni, non è impiegata per lavori legali qui a Eosmeria, sia pure vicino ai confini."
Salzus lo guardò con l'aria di chi la sa più lunga di quanto racconti.
"Già, lavori illegali. Per questo sono qui."
Pausa di suspance. Victor lo guardò un po' perplesso.
"Sono qui per catturare un brigante, e se un'arma, sia pure eretica, può essere utile allo scopo, ben venga" disse poi, accennando quello che sarebbe stato un sorriso mascalzone, se non fosse stato per l'igiene non particolarmente costante che caratterizzava Salzus.
"Vuoi dire Burt Spaccafossi!" esclamò il fabbro. Sia Salzus che Victor, ignoranti sull'argomento, lo guardarono interrogativi. Il fabbro, a sua volta, squadrò Salzus e la sua corporatura, agile ma non terribilmente imponente. Si permise una smorfia lievemente simile ad un sorriso. "Beh, dovrai usare per forza quell'arnese, a patto che tu abbia il tempo di ricaricare. A corto raggio, non dureresti un attimo. Io sono abbastanza forte, ma Burt mi ha sempre battuto a braccio di ferro, quando era qui!"
"Ognuno ha i suoi pregi" rispose Salzus, mostrando una collezione di coltelli e pugnali che gli erano comparsi in mano come dal nulla. Con la stessa destrezza, li fece sparire. "Quindi, potete aiutarmi a trovare costui o no? In cambio, io terrò la bocca chiusa sulle vostre attività all'interno di questa forgia."

La strada per Gunsmuld era stata un inferno.
Passi l'afa di quegli ultimi giorni d'estate, cancellati nel pomeriggio da un vento che portava nuvole, e forse anche le prime piogge.
Passi il soffocante abito religioso, simbolo del suo ufficio, che ovviamente non era stato disegnato per lunghe, scomode cavalcate a dorso di mulo.
Passi la monotonia del paesaggio campestre, una distesa d'oro, verde e ocra che ormai dava la nausea ad Erasmo.
Quello che lo torturava ogni giorno dalle ultime settimane era la compagnia.
Nel seguito dell'Inquisitore Trevenbaum l'età media degli accoliti era superiore ai quarant'anni, ed erano quasi tutti vecchi prelati, o preti di campagna improvvisatisi esorcisti, o tediosi studiosi saccenti, oppure ancora fanatici devoti. Mentre l'ultima categoria aveva un aspetto apertamente reverenziale nei rapporti con lui, gli altri erano prevalentemente uomini che con la fede, quella sincera, avevano poco e niente a che vedere, che avevano un tornaconto materiale.
"Oracolo?" lo richiamò il diacono Agostino, un uomo altezzoso e palesemente gonfio dei frutti delle indulgenze raccolte nella sua città. Il suo mulo lo sorreggeva a fatica, schiacciato dalla sua mole non meno che dalle sue vesti opulente.
Erasmo si sforzò di non sembrare seccato. "Sì?"
"Non si allontani troppo dalla fila. L'Inquisitore Trevenbaum ha disposto appositamente le guardie per la sua sicurezza."
Ecco, poi c'erano le due guardie. Obiano e Celtiberi, due uomini di cui sapeva solo il cognome, e di cui non desiderava sapere altro. Erano due Soldati Penitenti, due uomini arrestati per crimini minori e mandati a lavorare presso alcuni uffici ecclesiastici per scontare la propria pena come uomini di fatica e (specialmente nel lavoro degli inquisitori) come carne da cannone. Erasmo sperava in questo evento al più presto, ma al momento l'Inquisitore, che aveva richiesto un nuovo oracolo per rimpiazzare quello perduto durante l'ultima epurazione nelle terre a ovest, aveva ritenuto, dopo aver letto i documenti su di lui, che fosse una buona idea affiancargli delle guardie perché lo tenessero d'occhio. Già aveva dubitato della sua bontà d'animo a partire dai suoi compagni di viaggio, mentalmente aperti quanto la verginità di una suora di clausura, ma da quando era costretto ad andare ovunque, anche in latrina, col fiato sul collo, aveva ufficialmente deciso che Trevenbaum doveva essere anche poco accorto, a dare un'arma in mano a dei furfanti condannati e ordinare loro di occuparsi di un chierichetto appena ventenne.
La vita da Oracolo di Eos al servizio di Trevenbaum faceva ufficialmente schifo.
O almeno finora.
Erasmo torse lievemente le briglie, inducendo il mulo a rimettersi in fila, mentre finalmente arrivavano in città.
"Ah, Gunsmuld" disse con disprezzo lo scriba Hans, un ottuagenario dalla vista precaria e dal fanatismo imperante. "Città di feccia e pezzenti, al confine con i pezzenti e gli eretici." Sputò vistosamente per terra.
La carovana del seguito dell'inquisitore si fermò presso un grande albergo a quattro piani, la cui figura svettava rispetto alla media dei due piani della abitazioni intorno. Mentre Erasmo smontava dal mulo, intercettò con la coda dell'occhio Trevenbaum, che stava scendendo dalla carrozza che condivideva con alcuni dei suoi più fidati seguaci. L'imponente figura a cavallo di Ser Trevis, detto Tristan, interruppe il contatto visivo con l'uomo sobrio e ben vestito che deteneva il potere di vita e di morte su migliaia di anime devote ad Eos.
Quell'uomo potrebbe dichiarare eretico chiunque, dargli fuoco ed essere acclamato come un salvatore, gli passò per la mente. O potrebbe chiedere a te di dargli fuoco, e anche così, saresti solo uno strumento.
"Spero ardentemente che siamo venuti qui per qualcosa di più di un semplice assassino", disse Megel, uno dei vari diaconi praticamente imberbi che seguivano l'inquisitore e i suoi accoliti nella speranza di entrare a contatto con qualcosa di più eclatante del lucidare le scarpe ai loro superiori in convento.
"A dir la verità io non so ancora cosa ci aspetta qui, alla frontiera" disse Erasmo, per la prima volta sincero. "Sono stato convocato da qualche settimana, mi sono unito a voi per richiesta dell'inquisitore e finora non ho ancora ben capito a cosa servirà la mia presenza."
"A stanare i demoni!" esclamò Megel. "A bruciare eretici! A difendere la nostra vita con il vostro dono, o Oracolo!"
Agostino gli rifilò una botta sulla nuca. "Piano con i termini e col tono, Megel" sibilò fra i denti. "Sembra quasi che ti piaccia quest'attività. Noi tutti non siamo qui perché vogliamo menar le mani con gli eretici, ma perché è nostro dovere lavorare per la salvezza delle anime di Eosmeria."
Sicuramente a lui piace mangiare a sbafo mostrando la spilla che porta al petto, sussurrò la voce nella testa di Erasmo.
"D'accordo, ma che cosa ci aspetta qui?" ribadì il giovane Oracolo. A quel punto Megel si trovò a corto di parole, visto che in realtà neppure lui sapeva esattamente cosa fossero venuti a fare in un luogo così lontano dalla capitale. Dal canto suo, Hans fece qualche colpetto di tosse, sbuffò ed inspirò come se si preparasse ad un discorso, e, con voce palesemente impostata e bassa, risultando così inutilmente esagerato e ridicolo nel tentativo di sembrare imponente, proclamò:
"Quello che pochi sanno è che al momento a Gunsmuld c'è un misterioso assassino che va a caccia delle donne consacrate a Eos, le consorelle del convento di Trieme-Gusch."
Erasmo non era particolarmente impressionato, ma Megel compensò per lui profondendosi in una gamma di suoni vocalici allungati che avrebbero denunciato un'età di almeno dieci anni inferiore a quella che dimostrava.
"Trieme-Gusch è una struttura abbastanza unica nella zona. Il convento è annesso all'unico ospedale specialistico nel raggio di molte miglia, ma ha un'affluenza scarsa visto che l'aria della zona è priva di particolari agenti infettivi e il clima non molto umido e l'assenza di paludi non ne permettono la proliferazione. Di tanto in tanto, qualche malato ricco e dalle esigenze specifiche si reca al convento, ma il convento è spesso chiuso, le sue aree ospedaliere silenziose..." continuò Hans.
"E quindi c'è un assassino di suore in circolazione?" riassunse Erasmo.
"Sì" ammise Hans, stizzito. "Sì, è così. Qualche anima impura ha osato profanare la sacralità di donne che hanno rinunciato alla loro carnalità per curare le ferite degli uomini pii..."
"Io penso che sia solo un problema di incapacità delle forze dell'ordine di qui" lo interruppe di nuovo Erasmo, sicuro di seccare il vecchio scriba dalla lingua lunga, ma evidentemente la critica alla polizia della città di frontiera doveva aver fatto leva sul regionalismo innatamente razzista di Hans, tanto da indurlo ad confermare con indignata soddisfazione.
Erasmo sbuffò, aggiustandosi i capelli ramati sotto il cappuccio.
Non è un semplice assassino.
Erasmo non si girò neppure a cercare l'origine della voce, sapeva che la voce che sentiva era una delle molte che spesso il suo udito era l'unico a registrare. d'altronde, ci conviveva da tutta la vita. Però quella sensazione di inquietudine che gli davano alcune delle voci che sentiva -alcune conosciute, altre no- non l'abbandonava mai, anche quando dicevano cose che non avevano senso.
"Non è un semplice assassino," disse un'altra voce, più reale, più netta, e più dura. La pressione di una mano sulla spalla indusse Erasmo a girarsi, e anche in modo piuttosto scosso e rapido, il che indusse la mano a ritrarsi.
Davanti a lui, capelli corti, occhi scuri, vestiti bianchi, neri e porpora, c'era l'Inquisitore Trevenbaum, che lo guardava fisso negli occhi.
"Oracolo, due parole in privato." 
Quelle erano le prime parole dirette che Angkar Trevenbaum rivolgeva ad Erasmo, ma quelle parole e lo sguardo di Trevenbaum erano dure, dure quasi quanto i suoi lineamenti, non massicci ma ferrei, come se quell'uomo avesse veramente temprato se stesso sul fuoco di una forgia. "Obiano, Celtiberi, seguiteci." I due soldati, impegnati a discutere sulla cena, si drizzarono sull'attenti e seguirono immediatamente l'ordine impartito, anche se con un certo dispiacere nascosto sotto il timore.
"Inquisitore?" disse Erasmo, distanziandosi dagli altri accoliti e dai loro salamelecchi.
"Sei stato integrato da poco nel mio seguito, quindi non abbiamo ancora avuto modo di lavorare assieme" disse quando furono a debita distanza. "Tuttavia, è tempo di iniziare ad assegnarti dei compiti."
Alla buon'ora, penso Erasmo.
Trevenbaum gli porse una lettera, completa di sigillo inquisitoriale sulla ceralacca. "Recati con i tuoi protettori all'officina del maniscalco di Gunsmuld. Mostragli questa lettera, e recupera la merce che gli avevo chiesto di costruire su mia personale ordinazione."
Erasmo si sentì lievemente preso in giro. Dovrei fare il facchino? Il paggetto?
"Non se ne può occupare Fratello Bergmenn? Era lui che si era occupato dell'ordinazione per far ferrare i cavalli, dopotutto-"
"Fratello Bergmenn è solo addetto agli approvigionamenti e ad altri compiti minori: non deve sapere. Nessuno del circolo degli accoliti minori deve sapere. Tu sei un Oracolo di Eos, e sarai parte del circolo interno dopo qualche missione con noi."
"Continuo a non capire," disse Erasmo. "Che cosa devo ritirare di tanto segreto?"
"Un'arma eretica, un'arma che ritengo possa essere usata contro i nemici della fede. Una pistola."
Erasmo era confuso e preoccupato. "Ma non è un'arma condannata dal nostro credo? Non dice la bolla De Proiectiles Alchimiaque che le armi caricate dal fuoco delle polveri alchemiche sono strumento maligno?"
"Imparerai presto che talvolta è necessario usare armi maligne contro il male" disse Trevenbaum, con un'aria appena più morbida, ma ancora sufficientemente ferrea da spezzare la pietra. "L'Inquisizione è un organo terribile, ma necessario. Ci viene data licenza, dall'Arcivescovo in persona, di sfruttare le armi più diaboliche, siano esse armi alchemiche, o addirittura le arti occulte, quelle che tu possiedi dalla nascita, per volere di Eos."
"Non pensavo che le mie capacità fossero ritenute maligne", mentì Erasmo. Il ricordo del letto che andava a fuoco dopo ogni incubo lo perseguitava. Ed era solo la minore delle sue persecuzioni personali, contando anche le voci.
"Lo sarebbero state se tu avessi errato, scegliendo di andare contro la Santa Chiesa di Eos" disse Trevenbaum, ed Erasmo non fu particolarmente sicuro se quella fosse una rassicurazione o un avvertimento. "Allora sì, che non avrei avuto remore a darti la caccia e a spiccare la tua testa dal collo".
No, era decisamente un avvertimento.
"Bene, ci siamo intesi" disse l'inquisitore, accingendo ad andarsene. "Io andrò a parlare col sindaco di Gunsmuld assieme al seguito. Tu, intanto, occupati di recuperare l'ordi-"
"Se posso permettermi, Inquisitore" proruppe Erasmo, "prima diceva che non era un semplice assassino. Perché?"
Trevenbaum si girò nuovamente a guardarlo. I suoi occhi erano due capocchie di spillo, buie e tetre. Gli occhi di quell'uomo dovevano avere avuto a noia l'incertezza.

"C'é un vecchio avamposto schiavista abbandonato a nord di qui, vicino a delle voragini naturali chiamate La Pietà, dove gli schiavi vecchi, malati o inservibili venivano buttati." rispose. Il tono dell'inquisitore fece abbassare di un paio di gradi la temperatura circostante, e rizzò i peli del collo dei due Soldati Penitenti che seguivano da una certa distanza la scena. "Tutte le buone donne scomparse dal convento di Trieme-Gusch sono state ritrovate in quella voragine, i loro corpi spezzati e violati da grande ferocia... e neppure una goccia di sangue in corpo."

1 commento:

  1. ciao melfo tua storia molto bela.
    ti saluta mia capreta fata di keta

    RispondiElimina